un tempo nota come Val San Martino, è una valle alpina collocata nella città metropolitana di Torino, diramazione della val Chisone.
La valle è una diramazione della più ampia Val Chisone, alla quale si unisce all’altezza di Perosa Argentina, in bassa valle. Arriva fino a quota 1500 metri nella conca di Prali. Si dirama, lungo il suo percorso, in vari valloni laterali, dei quali il più importante è il vallone di Massello.
La valle è percorsa dal torrente Germanasca, tributario alla destra orografica del Chisone.
Venerdì scorso mi sono recato a trovare un amico che gestisce una baita nella zona di Massello e ho potuto camminare sui sentieri CAI di questa valle alla scoperta della cascata del pis.
E’ una valle che al mio arrivo percepisco sia carica di storia e i racconti delle persone del posto mi aiutano a comprenderla.
La valle subì un avvicendarsi di occupazioni e dominazioni, patteggiamenti, cessioni, liti che spostavano di continuo i limiti delle varie influenze politico-religiose.
Fin dall’epoca longobarda vi operarono i monaci della potente abbazia di San Colombano di Bobbio ed al suo ricco feudo reale ed imperiale monastico, cui dipese l’abbazia di San Dalmazzo di Pedona, mentre in seguito verso il IX secolo la gestione delle vallate saranno poi organizzata dall’abbazia di Novalesa. Dopo le razzie e le distruzioni da parte dei Saraceni nel X secolo, il territorio passerà nel 1064 all’abbazia di Santa Maria di San Verano (oggi Abbadia Alpina) di Pinerolo, fondata dalla marchesa Adelaide di Susa e dai monaci benedettini della Sacra di San Michele dove un tempo sorgeva l’antica pieve intitolata a San Verano.
L’imbocco della valle era protetto dal forte Luigi, una delle piazzeforti di casa Savoia.
Tradizionalmente la Val Germanasca fa parte delle Valli Valdesi, dove la maggioranza assoluta della popolazione segue il culto Valdese, che si riallaccia a Pietro Valdo, perseguitato come eretico nel Medioevo. Nei confronti di queste popolazioni si alternarono in passato periodi di tolleranza a periodi di persecuzioni.
Nel 1533 i Valdesi vi celebrarono un Sinodo per confermare l’adesione alla Riforma protestante. Nel 1556 fu costruito a Ghigo, frazione di Prali, un tempio per tutti i valdesi dell’alta val Germanasca.
Tra il 1630 e il 1655 la popolazione della valle fu colpita dalla peste e successivamente vide distrutti i suoi insediamenti dalle truppe dei Savoia. Nel 1686 gli abitanti si arresero ai francesi, che avevano già distrutto Angrogna e Torre Pellice. Il tempio valdese fu trasformato in chiesa cattolica.
I valdesi ritornarono dall’esilio di Ginevra nel 1689 (il cosiddetto Glorioso Rimpatrio), ma il comune fu nuovamente occupato dai francesi. Passò poi ai Savoia, che cercarono di riportarvi il cattolicesimo: nel 1767 Carlo Emanuele III fece ricostruire una chiesa cattolica nella frazione Villa.
La valle fu poi occupata da Napoleone e nel 1815 passò definitivamente ai Savoia.
Solo con la “libertà” Albertina del 1848, che concesse a quello valdese il carattere di “culto tollerato”, la valle trovò la pace.
La Baita dove sono ospitato è gestita da Andrea che oltre ad essere un buon padrone di casa è anche una guida ambientale escursionistica esperta e mi da indicazioni utili per passeggiare in tutta sicurezza sui sentieri della valle.
Partenza da Balziglia a 1370 m.s.l.m. per il sentiero 216, le indicazioni e i segnavia a terra sono presenti e ben curati, il paesaggio dopo un primo tratto nel bosco si apre verso la cascata, il rumore dell’acqua e i suoni della montagna si fanno sempre più vivi e la salita seppur impegnativa è piacevole.
Continuando a salire incontriamo un pastore con le sue 1200 pecore, qualche asinello e capra. Ci fermiamo a parlare con lui, i suoi maremmani sono sempre attenti a tutto e ci scrutano. Il suo saluto è un lascia passare ai 7 cagnoni che ci fanno proseguire.
Passo dopo passo raggiungiamo quota 1900 m.s.l.m e ci ritroviamo tra i fiori che in questa stagione sono al massimo della loro fioritura.
l’avvicinamento alla cascata purtroppo è viziato dalle nuvole che ci impedisce la vista ma rende ancora più affascinante il paesaggio.
Poco più in là dopo sette kilometri di salita arriviamo alla nostra vetta e decidiamo per il rientro non prima di fare alcune foto a stelle alpine e alla mitica salamandra nera (salamandra atra) parente stretta di quelle che possiamo osservare in pianura e collinacon macchie gialle.
il rientro invece ci regala passate le nuvole un bellissimo scorcio sulla cascata, evidenziando le numerose specie arboree.
Al termine della nostra escursione abbiamo percorso 14 km con un dislivello attivo di 1846 metri in circa 5 ore.
Andrea ci accoglie proprio mentre sta arrivando il temporale, un po’ di vino, formaggio castelmagno, acciughe con il bagnetto verde sono il nostro premio finale.
il suo racconto sulle miniere e sui fatti accaduti nell’800 ci incuriosisce e staremmo ore ad ascoltarlo ma dobbiamo rientrare a casa, è una ottima opportunità per tornare per alloggiare in baita e visitare le miniere.
La Valle Erro è la valle che con il suo torrente: l’erro divide e fa da confine tra l’Alto Monferrato e le Langhe Astigiane.
Un bel sentiero a cura del CAI di Acqui Terme numerato 571 che a partire dal centro abitato di Ponti porta a visitare seguendo le indicazioni bianco e rosse i santuari e le chiese di Montechiaro d’Acqui e S. Anna di Castelletto d’Erro. Volendo si possono fare deviazioni (piccole) per visitare i due centri abitati.
Il paesaggio è bello e variabile, in primavera-estate si passa da boschi arricchiti da ginestre, timo e equisetum con vista sui calanchi a campi di girasole alternati a colline di lavanda e vigne.
Dal punto di vista storico si incontrano molte edicole e chiesette, santuari e chiese barocche.
I segnavia sono presenti su tutto il percorso e la segnaletica a terra è ben visibile.
PAESI E LUOGHI DI INTERESSE:
Castelletto d’Erro
è un piccolo aggregato rurale della provincia di Alessandria collocato tral’Alto Monferrato e la valle Erro dedito all’agricoltura e alla pastorizia.
Le prime informazioni storiche di Castelletto d’Errorisalgono al 1080 e successivamente al 1169 quando alcuni abitanti del luogo donarono il castello ed il territorio limitrofo alla citta di Alessandria; era soprattutto un punto strategico che, attraverso la torre e le poderose mura, serviva da protezione da attacchi nemici saraceni.
Nel XIII secolo Castelletto d’Erro divenne feudo del vescovo di Acqui e la storia attesta che il vescovo Anselmo da Castelletto autenticò diversi diplomi donati dai vari imperatori. Nel primo periodo del XIV secolo passò nelle mani dei marchesi del Monferrato ma per poco tempo in quanto nel 1343 ritornò ad essere feudo del vescovado acquese.
Nel XV secolo con il trattato di Torino passò sotto il dominio dei Savoia e successivamente la sua storia si uniformò con quella del territorio limitrofo dalla val Bormida; nel 1815 venne decretata la provincia di Acqui con la ripartizione in quattro cantoni tra i quali quello di Bistagno che racchiudeva Castelletto, Ponti, Montabone, Rocchetta Palafea e Sessame.
Dal 1860 con il riordino amministrativo del Regno sabaudo venne inglobato nella Provincia di Alessandria.
Tra i suoi monumenti storici la torre medievale a base quadrata edificata attorno al 1330 circondata dal complesso fortificato con i resti delle possenti mura e delle torrette utilizzate per scopo militari e ornata di archetti. È costituita nell’apertura da una feritoia ed all’interno da due volte a botte di cui una come copertura di una cisterna posta alla base della torre.
La Chiesa parrocchialedell’Annunziata di epoca tardo rinascimentale ma che ad oggi conserva una struttura più moderna dovuta a ristrutturazioni avvenute durante i secoli; all’interno ospita affreschi del ponzonese Pietro Ivaldi detto il Muto del XIX secolo raffiguranti l’Annunciazione, l’Ultima Cena, le virtù cardinali ed il Battesimo.
Infine di rilevante la Pieve di Sant’Onorato di origine antica con abside rettangolare; al suo interno sono conservate parti di affreschi del XVI secolo raffiguranti un martire in vesti di soldato romano.
PONTI
Le origini del Comune di Ponti risalgono all’epoca preromana secondo alcune fonti la fondazione è contestuale a quella della vicina Acqui Terme (Aquae Statiellae). Durante la dominazione romana al borgo venne attribuito il nome di Pontum, derivato dai ponti che i Romani erano soliti costruire sui rii affluenti del fiume Bormida durante la realizzazione della via Emilia Scauri, della quale si può ancor oggi ammirare una pietra miliare (colonna Antonina) risalente al II secolo D.C. e conservata sotto il porticato del palazzo comunale. La colonna è testimonianza del primo ripristino della via Julia Augusta, importante strada costruita dall’imperatore Augusto in sostituzione della suddetta via Emilia Scauri che conduceva da Roma alla Gallia.
Durante il medioevo, Ponti fu feudo dei Marchesi del Carretto come si evince dagli stemmi di famiglia conservati sui muri di alcune antiche case e sui ruderi del castello situati sulla collina del paese.
La successiva storia di Ponti è molto frammentaria negli archivi storici sono presenti soltanto alcuni atti notarili dai quali si attesta la presenza della famiglia dei Del Carretto ancora come marchesi del feudo fino al XVII secolo e la citazione di Giorgio Guerrieri come signore di Ponti.
Nel paese è situata una targa che suggella il gemellaggio tra il borgo piemontese e la cittadina cosentina di Dipignano avvenuto nel 1974 che rievoca un episodio del lontano 1571 quando un gruppo di calderai di Dipignano furono accolti dal marchese Cristoforo del Carretto che diede loro asilo e viveri in cambio della loro abilità nella preparazione di vettovaglie. Inoltre il marchese regalò un enorme paiolo agli ospiti promettendo di riempirlo di farina se fossero riusciti ad aggiustarlo e così fu il nobile mantenne la promessa donando una ingente quantità di farina di polenta.
Principali emergenze storico-architettoniche da visitare a Ponti
L’attuale Chiesa Parrocchiale di Ponti è dedicata a Maria S.S. Assunta in Cielo, si tratta di un edificio di grandi dimensioni situato a fianco della strada statale (antica Via Napoleonica). E’ stata costruita tra il 1895 e il 1897 in stile rinascimentale, al suo interno è conservato un artistico coro, composto in parte da specchi e schienali di legno d’America, levigati e lucidati a vernice e un grandioso organo del Montesti rilevato dalla sinagoga degli Ebrei di Torino nel 1933. Le due navate laterali terminano con due altari in marmo, dedicati l’uno all’Immacolata di Lourdes e l’altro a Sant’Antonio di Padova, Patrono della Parrocchia. Le balaustre dell’altare maggiore e di tutte le cappelle sono in marmo bianco. Nell’abside è conservata un’artistica vetrata ovale raffigurante sant’Antonio.
Il simbolo di Ponti è certamente la Chiesa vecchia anch’essa dedicata all’Assunta che dall’alto domina l’intera vallata. Si tratta dell’abside dell’antico tempio con tre altari (uno dedicato alla Beata Vergine del Rosario) uno nello sfondo di mezzo e due laterali di stile barocco, davanti ai quali si allungava la costruzione a tre navate. Pare che contenesse più di 1000 persone a dimostrazione dell’importanza storica di questo luogo che pare fu coinvolto nelle lotte contro il paganesimo, l’arianesimo e i musulmani.
Nel 1911 la chiesa vecchia, essendo stata abbandonata per la costruzione della nuova, diroccò in parte. In seguito (1919- 1923) venne ricostruita ad opera di privati, abitanti della regione Chiesa Vecchia che si avvalsero dell’aiuto di tutta la popolazione pontese; purtroppo però l’opera di restauro ridusse di molto le proporzioni dell’antica parrocchiale. Durante la seconda guerra mondiale venne usata come deposito di materiale dall’ospedale della Chiappella di Genova ed in seguito venne occupata da forze naziste e repubblichine che la danneggiarono rompendone la porta e un banco di noce. In seguito al decreto del 27/06/1946 e alla domanda fatta dall’Arciprete, don Testa, per risarcimento danni, venne approvata la perizia del Genio civile di Alessandria dal Provveditorato Regionale alle opere Pubbliche per il Piemonte con decreto in data 29/01/1947, ed autorizzata l’esecuzione dei lavori; essi peraltro, ammessa la loro attuazione, furono di scarsissimo rilievo. Prima di venire parte del Beneficio Parrocchiale, che se ne assume gli oneri, la Chiesa era appartenuta alla Compagnia del Santo Rosario che possedeva qui dei beni (informazioni reperite sul portale del Comune di Ponti).
Da segnalare la bellissima torre campanaria a forma quadrangolare, divisa in quattro ripiani, distinti l’uno dall’altro da cornicioni adorni di archettature in rilievo, con la cella campanaria e la stanza dell’orologio (che era sia meccanico che solare) rischiarate da piccole bifore, conferitoie nelle altre parti e finte bifore e trifore di efficace effetto. La rocca del campanile è sormontata da una cuspide a piramide ottagonale, di mattone rosso, che si alza in mezzo a quattro pinnacoli, dello stesso materiale; cuspide e pinnacoli terminavano con una croce.
A breve distanza dalla chiesa Parrocchiale, sorge l’Oratorio di San Sebastiano, ufficiato, un tempo, dalla confraternita omonima. Lacostruzione della chiesa risale al 1600 circa, come risulta da parecchi testamenti di tale epoca nei quali sono contenute disposizione di testatori che elessero in tale oratorio la loro sepoltura, ed al suddetto lasciarono beni e censi.
Tale chiesa servì sempre come succursale dell’antica parrocchia, a comodità degli abitanti del borgo, quando quest’ultima era situata sul colle soprastante.
Montechiaro d’Acqui
è un borgo diviso tra la parte bassa di fondovalle e caratterizzata da costruzioni più moderne e la parte alta di epoca antica costruita a difesa dalle incursioni saracene.
Il borgo rurale alto domina l’appennino ligure e le vallate della Bormida e dell’Erro tra la fitta vegetazione di ginestre e la meravigliosa bellezza dei calanchi. Il centro storico è caratterizzato da un’architettura rurale segnata dall’uso diffuso della pietra arenaria e dalla presenza di portalimedievali, voltoni passanti e strade lastricate in pietra. Questo centro storico è stato scelto nel 1999 come scenario del film “Il partigiano Johnny”, tratto dall’omonimo romanzo di Beppe Fenoglio ed è stato definito il più ben conservato centro storico delle Langhe.
Montechiaro ha origini preromane con un ruolo importante sul piano commerciale come stazione di posta lungo la via Aemilia Scauri; nel VII secolo d.C. il borgo è collocato nei pressi della pieve del Caurocome emerge dai resti di ruderi e da un fonte battesimale monolitico custodito all’interno dellaChiesa di Sant’Anna a Piana.
Nel XIII secolo ha origine il borgo di Montechiaro Alto derivato dallo spostamento dei traffici verso la Liguria. Sempre nello stesso secolo il marchese Delfino del Bosco consegna il feudo ad Alessandria,ma dopo poco tempo torna alla sua autonomia sotto il marchesato dei Del Carretto.
Nei secoli successivi Montechiaro venne sottomesso agli Sforza di Milano, agli Scarampi di Cairo, aimarchesi di Canelli fino ai Gianazzo di Pamparato che dopo un atto di fedeltà ai Savoia, mantennero il possedimento del feudo.
Principali emergenze storico architettoniche
Tra le bellezze artistiche da ammirare la Chiesa parrocchiale di San Giorgio del XVI secolo, costruita sulle fondamenta dell’antica Chiesa di Santa Caterina. All’interno sono conservati uno splendido pulpito in legno, una Madonna settecentesca di scuola genovese del Maragliano, colonne in pietra arenaria, altari in stucco e le venerate reliquie delle “Spine della Corona di Gesù Cristo “ che una leggenda narra portate in questo luogo dalla terra santa da un cavaliere crociato.
Da citare l’Oratorio di Santa Caterina che ospita il museo contadino con la presenza di oggetti ed attrezzi agricoli dei secoli passati; sempre di argomento religioso è il santuario della Carpeneta del XVII secolo costruito attorno ad un pilone del XVI secolo a devozione della Madonna della Misericordia raffigurata in un affresco.
Di particolare rilevanza la Pieve di Montechiaro Piana dell’VIII secolo con i suoi resti tra i quali tracce dell’abside in stile romanico, accanto sorge la nuova chiesa di Sant’Anna che conserva al suo interno una vasca battesimale per immersione che era ubicata all’interno della struttura della vecchia pieve.
Montechiaro possiede anche altre singolari bellezze tra le quali la ciminiera di una fornace di mattoni del XX secolo rimasta attiva fino agli anni settanta del secolo scorso e le ville Veirana ed Anna del XX secolo, la prima privata mentre la seconda il stile liberty, attualmente abbandonata, fu durante il secondo conflitto mondiale il quartier generale dell’esercito tedesco di istanza nel territorio.
Tra gli eventi di Montechiaro un cenno particolare merita la fiera del bue grasso a dicembre, una delle esposizioni bovine riconosciute a livello regionale anche per la presenza di prodotti legati allatradizione contadina locale.
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la tradizione popolare è ricca di episodi, riti e ricette contadine relative alla notte più corta dell’anno che corrisponde anche al solstizio d’estate
RITI E USANZE NEI SECOLI dai pagani al cristianesimo
Da secoli i riti, le usanze, le tradizioni e le leggende hanno caratterizzato e connotato la “Notte di san Giovanni Battista”, tra il 23 e 24 giugno. Per alcuni popoli è la notte più incredibile dell’anno, celebrata da tempi lontani con riti e usanze popolari ed è di origine pagana. La festa veniva commemorata anche dal popolo romano, fin dai primi secoli, con la credenza che sotto lo splendore delle stelle si mescolassero culti e incantesimi. Molti popoli, ancora oggi, nella “Notte di san Giovanni” sono soliti posare di fronte alla soglia di casa un piccolo mucchio di sale o una scopa di grossa dimensione, per proteggersi dall’intrusione, non certo piacevole, delle streghe.
usanza di tale notte è la raccolta di un cardo e bruciacchiarlo, nasconderlo, poi, in una fessura del muro e osservarlo la mattina seguente e se si presenta fresco come al momento della sua raccolta sta a significare che l’AMORE è in arrivo; come pure prendere un uovo, separarlo dal rosso, prendere l’albume e lasciarlo in un bicchiere sul davanzale della finestra e se al mattino l’albume è ricoperto di bollicine è un chiaro segno premonitore dell’arrivo di un uomo bello, buono e ricco. Anche la tradizione cristiana ha “impreziosito” la “Notte di san Giovanni” con la “Rugiada di san Giovanni” che rappresenta le lacrime che Salomè versò a seguito del pentimento per aver prima desiderata e poi causata la decapitazione del Battista. Salomè in preda alla disperazione e al rimorso coprì la testa del Santo di baci e lacrime di disperazione ma all’improvviso la bocca del Battista si spalancò facendo uscire un vento fortissimo che la spinse, insieme alla madre, in aria dove ora vaga e vagherà per tutta l’eternità. Secondo un’altra tradizione nella “Notte di san Giovanni” cade la “rugiada degli Dei” dalla forza generatrice ed energica e il bagnarsi gli occhi con la rugiada si compie un gesto di purificazione che rimanda al Battesimo e si racconta, altresì, che raccoglierla e, poi, berla allontani il malocchio e favorisca la fecondità.
RICETTE E LIQUORI LEGATE ALLA TRADIZIONE CONTADINA
Nelle regioni meridionali la notte si San Giovanni è propizia per preparare il NOCINO che resterà a riposare sino al 31 ottobre.
I puristi della tradizione si preparano alla notte più corta dell’anno: la notte di San Giovanni Battista. Una notte carica di mistero in cui da secoli si ripete l’antico rituale del Nocino, il famoso digestivo dei nostri nonni.
Un rito a cui sono legate numerose credenze che rendono la figura di questo santo in bilico tra il sacro e il profano. Una tra le tante collega la notte a cavallo tra il 23 e il 24 giugno ad una particolare danza attuata dalla streghe intorno ad un noce che secondo la leggenda era ubicato nei pressi dello Stretto di Barba, sulla strada che da Benevento porta ad Avellino, vicino ad Altavilla, precisamente dove si trova un boschetto fiancheggiato da una chiesa abbandonata, o in un’altra località di nome Piano delle Cappelle. Si dice che proprio qui le streghe si riunivano per celebrare i loro riti demoniaci.
Esse infatti utilizzavano il mallo di noce per creare pozioni magiche con cui incantare gli uomini. Sempre attorno a questo albero preparavano pozioni magiche addirittura per unire in coppia coloro che le bevessero. Chi aveva la sfortuna di finire sotto la maledizione delle streghe aveva come unica possibilità quella di utilizzare le erbe di San Giovanni, ovvero il santo morto decapitato per volere di Salomé, la figlia di Erode, la piú seducente e perfida strega di tutti i tempi. Era questa la vittoria del bene sul male, quando la notte più corta dell’anno, la luce trionfa sulle tenebre. Nasce così la tradizione del Nocino: dalla raccolta dei frutti ancora acerbi in questo giorno, a cui segue la loro macerazione in alcool, un modo per estrarne la ‘rugiada’ magica, panacea di tutti i mali e dotata di virtù miracolose. “
RICETTA TRADIZIONALE DEL NOCINO
Le noci ancora acerbe, in numero dispari, vengono tagliate e vengono messe a macerare nell’alcool fino alla notte dei morti il 31 ottobre, notte dedicata alla dea romana Pomona dea dei frutti e dei semi.
La tradizione vuole che siano le donne a piedi nudi a raccogliere le noci ancora acerbe dal noce.
Preparazione Nocino di San Giovanni
Occorrono 23 noci verdi tagliate in 4 spicchi e colte nella notte del 23 giugno,un pezzo di stecca di cannella, 10 chiodi di garofano,10 chicchi di caffè, la parte gialla della scorza di 3 limoni, 350 ml di alcool a 95 gradi, 500 grammi di zucchero e 300 ml di acqua.“
Come si prepara:
In un vaso di vetro mettere le noci assieme all’alcool e lasciate macerare sino al giorno seguente quando si aggiungono la cannella, i chiodi di garofano, la parte gialla della scorza dei limoni. Si lascia macerare ancora fino al 3 agosto avendo cura di agitare il tutto almeno un paio di volte al giorno. Trascorso questo periodo si filtra e si aggiunge lo zucchero disciolto a bagno bagnomaria in acqua calda e a fuoco lento. Si lascia raffreddare e si imbottiglia. Il liquore si consuma lentamente, un bicchierino alla volta, durante tutto l’arco dell’anno e diviene un eccellente digestivo. “
la nascita di San Giovanni Battista di cui i Vangeli ci dicono che era figlio di Zaccaria ed Elisabetta e che fu generato quando i genitori erano in tarda età avviene il 24 giugno è a lui la tradizione lega la raccolta delle erbe di campo
La notte tra il 23 e il 24 giugno, quella in cui verrà celebrata la nascita di San Giovanni Battista, è detta “notte dell’iperico”. In essa le erbe sono cariche di virtù, in particolare l’iperico; così chiamata perché i suoi fiori giallo-oro sbocciano a fine giugno, con l’arrivo della festa del Santo.
Quest’erba, utilizzata per curare le ferite dei Crociati, veniva ritenuta benefica. Con l’oscurità si raccoglievano le nuove erbe per comporre il cosiddetto mazzetto di San Giovanni, volto a scacciare il malocchio, a portare fortuna e, se messo sotto il guanciale prima di andare a dormire, a portare dolci sogni premonitori.
Il mazzetto è composto da 7 erbe:
iperico o scaccia-diavoli, contro il malocchio
artemisia per la fertilità
ruta
mentuccia
lavanda
aglio
prezzemolo
rosmarino
…tutte erbe che assicurano buonumore, prosperità, allontanano le negatività.
Il week end ha visto impegnati diversi gruppi nelle escursioni organizzate.
Tre gruppi hanno partecipato a #sentierietisane con la raccolta dei semi di papavero, camomilla e aglio selvatico, mentre Lunedì un gruppo ha partecipato alla gita in VALSUSA.
La gita in Valsusa ci ha visti impegnati in un trekking di 20 km con un dislivello attivo di 1696 mt. – partenza da Clavière arrivo al Lac Gignoux (lago dei sette colori) ritorno ad anello facendo la cresta.
Il percorso bello e facilmente percorribile ci ha dato la possibilità di osservare la flora locale (anemoni e rododendri, viole e timo) gli alberi secolari, che si alternano a prati ampi e laghi (Lago Nero, laghi Fontana Fredda, Clot Foiron), i rilievi montuosi del confine ITALIA – FRANCIA.
L’escursione durata circa 5 ore e mezza si è svolta ad anello e ha permesso di osservare in cresta le numerose costruzioni fortificate e le trincee della guerre mondiali.
Unica nota poco positiva la mancanza di fontane e fonti d’acqua.
se desiderate percorrere sentieri o partecipare alle gite contattate direttamente DEVIS al 3347918068 grazie
cercare camminando fiori e piante per fare tisane ed olii essenziali
Nell’ultimo periodo sta trovando sempre più interesse la riscoperta delle piante officinali e di quelle per fare tisane.
il progetto del camminovigliese.it è quello di far conoscere le piante e i fiori che fanno parte del nostro ambiente e che possiamo trovare lungo i sentieri da noi percorsi.
A seconda della stagione lungo le strade bianche o nei prati possiamo trovare dei veri e propri tesori.
A maggio e giugno ad esempio potremo trovare, malva, camomilla, cardo e nel rispetto della pianta e dell’ambiente raccoglierle per farle diventare con cura tisane, olii essenziali, creme o liquori
Il tour di 3 ore permette a tutti di apprendere le basi per il riconoscimento delle piante e della loro gestione dopo la raccolta.
per informazioni su gita e materiale da portare con se, misure anticovid contattare 334/7918068 DEVIS
Sabato 22 febbraio saremo impegnati in una escursione tra le vigne di Rosignano Monferrato e Cella Monte con le sue case costruite con la tipica pietra di Cantone.
La Pietra da Cantone presente a Cella Monte e nei paesi vicini (ad esempio Moleto) è una delle pietre da costruzione mioceniche più pregiate, reperibili sul territorio italiano. E’ formata da strati marini calcarei e marnosi, che sono stati datati al Burdigaliano-Langhiano (da 20 a 14 milioni di anni fa) sulla base dei microfossili in essi contenuti.
La sua storia geologica, come quelle di numerosi depositi miocenici simili, è legata allaformazione della catena appenninica. In questo periodo geologico, il paesaggio monferrino era molto diverso da quello collinare attuale. La Pianura Padana era occupata da mari più o meno profondi e da isole che si formavano e venivano successivamente sommerse dal mare, a seconda dei movimenti dell’Appennino.
Circa 20 milioni di anni fa, una di queste isole occupava gran parte del Monferrato Casalese. Il suolo dell’isola era formato dai sedimenti marini eocenici, oligocenici e miocenici emersi, appartenenti alle “Marne da cemento” (Formazione di Casale Monferrato) o alle più recenti Formazioni di Cardona e di Antognola, che si erano formati a partire da circa 56 milioni di anni fa.
A partire da 14 milioni di anni (Miocene – Serravalliano) il clima diventò più freddo, il mare si approfondì ulteriormente su tutto il casalese, fino a raggiungere anche profondità di oltre 200 m; sui fondali si depositarono le Marne di Mincengo. Queste rocce, più argillose delle precedenti, per le loro proprietà refrattarie furono cavate in lastre nelle cave di Uviglie; per questo motivo erano conosciute anche come “pietre da forno”. Il mare ricoprì il territorio ancora per molti milioni di anni, finché a partire dal Messiniano (7-5 milioni di anni) questi sedimenti marini si ripiegarono, iniziarono ad emergere dal mare, formando le colline monferrine. Circa 3.5 milioni di anni fa (Pliocene inferiore)il mare si ritirò definitivamente dal Piemonte.
Dopo questi eventi geologici, la Pietra da Cantoni e i depositi marini più recenti, furono in gran parte erosi ad opera dei corsi d’acqua, degli agenti atmosferici o dei cambiamenti climatici quaternari (glaciazioni), facendo riaffiorare i depositi marini più antichi sottostanti. Questi ultimi, di età comprese tra 56 e 20 milioni di anni fa, sono riferibili alle marne eoceniche della Formazione Casale Monferrato fino alle più recenti marne oligo-mioceniche della Formazione di Antognola.
A Rosignano potremo dopo aver fatto un giro per il paese immergerci nelle campagne e risalendo al termine della nostra gita scoprire la BIG BENCH Nei pressi di Madonna delle Grazie, addentrandosi per un breve tratto tra i vigneti, trova collocazione la prima Panchina Gigante del Monferrato.
Inaugurata nel 2017 si tratta della Big Bench n. 41 “Rosso Grignolino”, da cui si può godere di una vista mozzafiato sulle colline circostanti del Basso Monferrato, fino alle Alpi ed agli Appennini. La panchina è alta più di 2 metri e lunga 3,5 metri e rientra nel progetto ideato dallo statunitense Chris Bangle che ha già coinvolto altre località in Piemonte.
I posti sono limitati a 30 persone, durante il percorso ci fermeremo al bar di Cella Monte per un caffè e una pausa bagno.
ESISTE UNA COSA CHIAMATA PFAS ovvero un inquinante ambientale, in Veneto hanno scoperto che questo ha colpito le falde acquifere (nel link il servizio di focus) e che la diretta conseguenza sono malattie e neoplasie. il Professor Carlo Foresta è ordinario di endocrinologia all’università di Padova e ha scoperto attraverso uno studio documentato che i PFAS interferiscono con la vitamina D a partire dall’età giovanile (conseguenza OSTEOPOROSI).
Nella zona di Alessandria e dintorni, le falde acquifere sono su 7 strati e nei primi due hanno già verificato che questi problemi esistono… i primi due sono quelli che danno acqua ai nostri acquedotti… all’acqua che va per annaffiare i nostri orti, i campi ect… le conseguenze sono facilmente intuibili
Nei due link sotto potete approfondire l’argomento e farvi un’idea
Con l’aiuto del Comune di Bergamasco stiamo realizzando il progetto di una camminata sui sentieri della memoria che ricordano le gesta dei partigiani nel 1944 durante il periodo della REPUBBLICA PARTIGIANA DELL’ALTO MONFERRATO.
Nell’estate del ’44 si costituisce, soprattutto nel territorio a Sud del Tanaro, una fitta rete di Comitati di liberazione nazionale, di cui il più importante è quello di Nizza Monferrato perché nasce nella città che, con Canelli, rappresenta il centro urbano di riferimento per tutta la zona meridionale della provincia. E’ il periodo della “grande stagione della Resistenza”, della grande illusione sulla prossima e vittoriosa conclusione della guerra.
La zona è ormai matura per perfezionare e consolidare l’esperimento di autogoverno democratico con l’istituzione di un vero e proprio organo dirigente politico che si occupa di impartire direttive comuni nei vari settori, di regolarizzare normative in determinati ambiti, che funga da organo centrale di coordinamento.
Nasce così la zona libera dell’Oltretanaro, che nell’autunno del 1944, dà vita alla repubblica partigiana dell’Alto Monferrato che coordina l’attività di quaranta comuni controllati ed amministrati dalle forze partigiane ed antifasciste con sede a Nizza Monferrato e ad Agliano Terme. Il massiccio e violento rastrellamento nazifascista del 2 dicembre 1944 pone fine a quest’esperienza, causando lo sbandamento delle cinque divisioni partigiane operanti nella zona ma anche la fine di quell’illusione di pace e di libertà che le popolazioni contadine avevano imparato a conoscere per pochi mesi.
La memoria dei luoghi che andremo a visitare tra i quali anche CASTELNUOVO BELBO E BRUNO viene custodita dalle amministrazioni e dall’ISTRAT che insieme ad altre organizzano eventi e ricorrenze.
A Castelnuovo Belbo feremo visita alla collina CARLSON, dove un cippo ricorda la morte di un pilota alleato precipitato con il suo aereo dopo aver aiutato i partigiani durante lo scontro del 4 novembre 1944. La sua dipartita avvenne quando al secondo assalto da parte di due aerei statunitensi, pilotati dal capitano Zane Elwood Carlson e dal tenente Kregloh, la contraerea tedesca centrò uno dei velivoli. Carlson riuscì a gettarsi col paracadute, ma a bassa quota: soccorso dai civili, morì mentre i partigiani lo trasportavano all’ospedale di Nizza Monferrato. La battaglia infuriò a lungo e segnò anche il grave ferimento del partigiano Donato Rivella, che successivamente perì.
A Bruno . Il 20 ottobre 1944, tre colonne di militari dell’esercito repubblicano, della GNR e della Brigata Nera di Alessandria, coadiuvati da militari tedeschi attaccano la zona libera. Si registrano scontri nella zona di Quaranti, Mombaruzzo e Bruno. A Mombaruzzo vengono catturati tre partigiani, uno di loro, Pietro Boidi, viene seviziato e quindi fucilato. Negli scontri perde la vita un altro partigiano, a Bruno.
Nei rastrellamenti che seguirano a Bruno e Mombaruzzo 8 case vengono date alle fiamme nella zona di Mombaruzzo stazione.
Durante la visita ci sarà la possibilità di visualizzare sul campo di battaglia i luoghi dove si combattè e sentire testimonianze dei figli e nipoti dei partigiani che parteciparano agli eventi in essere.
Se vi interessa l’argomento si può approfondire con la bibliografia che pubblico qui sotto:
Bibliografia: Anna Bravo, La repubblica partigiana dell’Alto Monferrato, Giappichelli, Torino, 1964, pp. 60-68. Luigi Carimando, Mario Renosio, La guerra tra le case. 2 dicembre 1944, L’Arciere, Cuneo, 1988 Davide Lajolo, A conquistare la rossa primavera, Rizzoli, Milano, 1975, pp. 142-148 Nicoletta Fasano, Mario Renosio, Un’altra storia. La Rsi nell’Astigiano tra guerra civile e mancata epurazione, Israt, Asti, 2015, pp. 195-197 Nicoletta Fasano, Mario Renosio, Dare un volto alla memoria, «Asti contemporanea», n. 5, 1997, pp. 8- 157. Mario Renosio, Colline partigiane. Resistenza e comunità contadina nell’Astigiano, Franco Angeli, Milano, 1994, pp. 172-176 Mario Renosio (a cura di), Vittime di guerra. I caduti astigiani nella seconda guerra mondiale, Israt, Asti, 2008
percorrenza circa 12 km – TEMPO PREVISTO PER ESCURSIONE 3 ORE E MEZZA – INTERVENTI SUL PERCORSO 30 MINUTI divisi tra Bergamasco e Castelnuovo Belbo. PERCORSO SU STERRATO, TERRA BATTUTA E ASFALTO – DI FACILE PERCORRENZA in alcuni punti richiede un minimo di allenamento alla salita. PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA ENTRO IL VENERDì 7 FEBBRAIO AL 3347918068 partenza dal campo sportivo comunale di Bergamasco.
Munirsi di abbigliamento idoneo per il freddo (guanti e cappello), si consiglia di portare con se qualche alimento e the caldo.
PARTENZA DA PARCHEGGIO CAMPO SPORTIVO BERGAMASCO per arrivarci clicca qui:
Un abbraccio vuol dire “Tu non sei una minaccia. Non ho paura di starti così vicino. Posso rilassarmi, sentirmi a casa. Sono protetto, e qualcuno mi comprende”. La tradizione dice che quando abbracciamo qualcuno in modo sincero, guadagniamo un giorno di vita. (Paulo Coelho)
CARENTINO – BRUNO – MOMBARUZZO e rientro da Bosco della Comunna e delle Sorti
Escursione di 12 km (se fatta completa con partenza da Carentino) su terreno misto. All’andata il percorso si sviluppa su strada bianca passando tra boschi e vigneti sino a giungere all’abitato di Bruno dove si prende il sentiero CAI che conduce attraverso un bellissimo sentiero panoramico a Mombaruzzo.
Dopo una sosta ristoratrice per un caffè in uno dei bar storici del paese, rientreremo a Bruno attraverso il Bosco della Comunna e delle Sorti per un viaggio nel tempo attraverso i sentieri che percorrevano i viandanti e i commercianti di legname in direzione della strada Franca che collegava Bergamasco a Felizzano.
Il rientro a Bruno è previsto per le 12.15 e a Carentino per le 12.45 massimo.
Per permettere la migliore esperienza di cammino consigliamo la prenotazione al 3347918068 DEVIS
Tradizione vuole che l’ultima settimana dell’anno si salga al Monte Tobbio (1092 m.s.l.m) per salutare l’anno che ci ha accompagnato.
il Monte è la montagna posta al centro del Parco naturale delle Capanne di Marcarolo e fa parte dell’Appennino Ligure.
Rispetto a tutti gli altri rilievi di questa porzione di Appennino, il Tobbio spicca per la grande visibilità (dalla pianura antistante), dovuta ai suoi versanti spogli e particolarmente scoscesi. Sulla cima vi è una chiesetta edificata nel 1897 e dedicata a Nostra Signora di Caravaggio e un rifugio d’emergenza di proprietà del Club Alpino Italiano di Novi Ligure. Dalla sua cima si possono scorgere sia il golfo di Genova, distante soli 18 km in linea d’aria, che le colline della Langa e del Monferrato che vaste porzioni dell’arco alpino e, in giornate di eccezionale visibilità, la Corsica.
Ci sono varie vie da accesso, da Bosio e da Voltaggio e se si raggiunge in auto dagli Eremiti a poca distanza dal Monumento dei Martiri della Benedicta.
Il sentiero da noi percorso è il 401
I Monti sono maestri muti e fanno discepoli silenziosi. (Johann Wolfgang von Goethe)